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Impegno e professionalità a tutela dei diritti dell'uomo.

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REATO DI EPIDEMIA COLPOSA E LA SENTENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONE QUARTA, N. 20416/2021

06-03-2023 12:45

Beatrice Lizzio

REATO DI EPIDEMIA COLPOSA E LA SENTENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONE QUARTA, N. 20416/2021

A proposito dell’indagini in materia di epidemia colposa è opportuno fare un cenno sulla fattispecie nonché sull’orientamento espresso dalla Corte di

A proposito dell’indagini in materia di epidemia colposa è opportuno fare un cenno sulla fattispecie nonché sull’orientamento espresso dalla Corte di Cassazione.

Il reato di epidemia colposa è disciplinato dagli artt. 438 e 452 c.p.

L’art. 438 c.p. prevede che “Chiunque cagiona un'epidemia mediante la diffusione di germi patogeni è punito con l'ergastolo.

Se dal fatto deriva la morte di più persone, si applica la pena [di morte]”.

La norma tutela la salute pubblica che a sua volta viene definita come benessere fisico e psichico della collettività.

Gli elementi della fattispecie sono:

-la rapidità della diffusione;

-la diffusibilità ad un numero notevole di persone;

-ampia estensione territoriale del male.

L’elemento soggettivo è costituito dal dolo generico ovvero dalla volontà di diffondere germi patogeni, unitamente alla consapevolezza della loro efficacia epidemica. Si evidenza anche il mero dolo eventuale in relazione al rischio di determinare l'epidemia.

L’art. 452 c.p. “Chiunque commette, per colpa [43], alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 438 e 439 è punito:

1) con la reclusione da tre a dodici anni, nei casi per i quali le dette disposizioni stabiliscono la pena di morte;

2) con la reclusione da uno a cinque anni, nei casi per i quali esse stabiliscono l'ergastolo;

3) con la reclusione da sei mesi a tre anni, nel caso in cui l'articolo 439 stabilisce la pena della reclusione.

Quando sia commesso per colpa [43] alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 440, 441, 442, 443, 444 e 445 si applicano le pene ivi rispettivamente stabilite ridotte da un terzo a un sesto”.

Per la punibilità di tali delitti colposi è sufficiente che le condotte abbiano l’attitudine a produrre un danno alla salute pubblica.

                                                   ************

La Corte di Cassazione si è pronunciata sulla configurabilità della fattispecie dell’epidemia colposa nella forma del reato omissivo improprio ai sensi dell’art. 40 comma 2 c.p.

CASO: l’imputato che nel caso in esame si trattava del legale rappresentante di una residenza sanitaria assistenziale, veniva contestato il reato di epidemia colposa nella forma del reato omissiva improprio in quanto omettendo l’aggiornamento del documento sulla valutazione dei rischi con le procedure previste dal D.P.C.M. del 24 aprile 2020 causava il contagio degli ospiti.

La Corte nel riferirsi al caso in esame ha affermato che “in tema di delitto di epidemia colposa, non è configurabile la responsabilità a titolo di omissione in quanto l’art. 438 cod. pen., con la locuzione ‘mediante la diffusione di germi patogeni’, richiede una condotta commissiva a forma vincolata, incompatibile con il disposto dell’art. 40, comma secondo, cod. pen., riferibile esclusivamente alle fattispecie a forma libera”.

Inoltre in tema di accertamento del nesso causale tra condotta omissiva ed evento: “il Tribunale ritiene che, in applicazione delle teoria condizionalistica orientata secondo il modello della sussunzione sotto leggi scientifiche, in assenza di qualsivoglia accertamento circa l’eventuale connessione tra l’omissione contestata al ricorrente e la seguente diffusione del virus non sia possibile ravvisare, nel caso de quo, la sussistenza del nesso di causalità tra detta omissione e la diffusione del virus all’interno della casa di riposo. Ed invero, alla stregua del giudizio contro fattuale, ipotizzando come realizzata la condotta doverosa ed omessa dall’indagato, non è possibile desumere ‘con alto grado di credibilità logica o credibilità razionale’ che la diffusione/contrazione del virus Covid-19 nei pazienti e nei dipendenti della casa di riposo sarebbe venuta meno. Non è da escludere, infatti, che qualora l’indagato avesse integrato il documento di valutazione dei rischi e valutato il rischio biologico, ex art. 27 D. lgs. 81/2008, la propagazione del virus sarebbe comunque avvenuta per fattori causali alternativi (come ad esempio per la mancata osservanza delle prescrizioni impartite nel DPCM per le case di riposo quali di indossare le mascherine protettive, del distanziamento o dell’isolamento dei pazienti già affetti da covid, ovvero a causa del ritardo negli esiti del tampone)”.