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Impegno e professionalità a tutela dei diritti dell'uomo.

APPLICABILITA’ DELL’ISTITUTO DELLA SOSPENSIONE CON MESSA ALLA PROVA AL D.LGS N. 231/2001

15-11-2022 14:48

Beatrice Lizzio

APPLICABILITA’ DELL’ISTITUTO DELLA SOSPENSIONE CON MESSA ALLA PROVA AL D.LGS N. 231/2001

La sospensione del procedimento con messa alla prova è un rito alternativo che prevede lo svolgimento di un lavoro di pubblica utilità e la riparazion

La sospensione del procedimento con messa alla prova è un rito alternativo che prevede lo svolgimento di un lavoro di pubblica utilità e la riparazione o il risarcimento del danno cagionato alla persona offesa.

Per tutta la durata del periodo della messa alla prova, il processo rimane sospeso per un periodo non superiore ai due anni.

La messa alla prova può essere chiesta solo in casi specifichi:

-nei procedimenti per reati puniti con la sola pena pecuniaria o con la pena detentiva non superiore nel massimo a sei anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria;

-per i delitti per i quali si procede a citazione diretta a giudizio secondo il codice di procedura penale e per i quali è competente il giudice in composizione monocratica (ad esempio: violenza, minaccia o resistenza a pubblico ufficiale; furto aggravato; ricettazione);

-la sospensione con messa alla prova può essere chiesta per iscritto oppure oralmente, anche dal difensore munito di procura speciale.

 

FINO A QUANDO PUO’ ESSERE CHIESTA?

-all’udienza preliminare, fino alla discussione;

-nel giudizio direttissimo, fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado;

.nel procedimento di citazione diretta a giudizio, fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado;

-se è stato notificato il decreto di giudizio immediato, entro il termine di 15 giorni dalla notifica;

-nel caso di notifica di decreto penale di condanna, insieme all’atto di opposizione.

 

COSA SUCCEDE DOPO CHE VIENE PRESENTATA LA RICHIESTA DI MESSA ALLA PROVA?

Dopo che viene presentata la richiesta di messa alla prova, il giudice deve valutare se concederla o meno. In primis la messa alla prova non può essere concessa più di una volta, ovvero il giudice dovrà per prima cosa verificare che, in passato, l’imputato non ne abbia già beneficiato.

In seguito il giudice, può acquisire, tramite la polizia giudiziaria, i servizi sociali o altri enti pubblici, tutte le informazioni ritenute necessarie in relazione alle condizioni di vita personale, familiare, sociale ed economica dell’imputato.

Inoltre il giudice deve valutare che il programma presentato deve essere idoneo e che l’imputato si asterrà dal commettere ulteriori reati.

Cosa deve contenere la richiesta di messa alla prova?

La richiesta di messa alla prova deve essere presentata dall’imputato che deve contenere in maniera dettagliata il percorso riabilitativo e sociale che l’interessato deve intraprendere.

Inoltre deve essere allegato un programma elaborato in collaborazione con l’ufficio di esecuzione penale esterna e che deve provvedere:

 

-le modalità di coinvolgimento dell’imputato, nonché del suo nucleo familiare e del suo ambiente di vita nel processo di reinserimento sociale;

-le prescrizioni comportamentali e gli altri impegni specifici che l’imputato assume anche al fine di elidere o di attenuare le conseguenze del reato, considerando a tal fine il risarcimento del danno, le condotte riparatorie e le restituzioni, nonché le prescrizioni attinenti al lavoro di pubblica utilità ovvero all’attività di volontariato di rilievo sociale;

-le condotte volte a promuovere, ove possibile, la mediazione con la persona offesa.

Il giudice, sentite le parti nonché la persona offesa, decide direttamente in udienza sulla richiesta di messa alla prova con ordinanza. In alternativa, può fissare un’apposita camera di consiglio dandone avviso alle parti (imputato e p.m.) e alla persona offesa.

 

Inoltre se il giudice reputa idoneo il programma di trattamento presentato e ritiene che l’imputato si asterrà dal commettere ulteriori reati, dispone con ordinanza la sospensione del procedimento con messa alla prova. Quest’ultimo se ritiene il programma insufficiente, può integrarlo o modificarlo, fermo  restando il diritto dell’imputato di rifiutare le modifiche: in tal caso, la richiesta di messa alla prova verrà rigettata e si procederà con il procedimento ordinario.

L’ordinanza di concessione della messa alla prova sospende il processo per un periodo:

-non superiore a due anni, quando si procede per reati per i quali è prevista una pena detentiva, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria;

-non superiore a un anno, quando si procede per reati per i quali è prevista la sola pena pecuniaria.

Contro l’ordinanza che decide sull’istanza di messa alla prova possono ricorrere per cassazione l’imputato e il pubblico ministero, quest’ultimo anche su istanza della persona offesa.

La sospensione del procedimento con messa alla prova è revocata:

-in caso di grave o reiterata trasgressione al programma di trattamento o alle prescrizioni imposte, ovvero di rifiuto alla prestazione del lavoro di pubblica utilità;

-in caso di commissione, durante il periodo di prova, di un nuovo delitto doloso ovvero di un reato della stessa indole rispetto a quello per cui si procede.

Prima di disporre formalmente la revoca, il giudice deve fissare un’udienza camerale al fine di discuterne con tutte le parti coinvolte. L’ordinanza di revoca è ricorribile per cassazione per violazione di legge.

Decorso il periodo di sospensione del procedimento con messa alla prova, il giudice dichiara con sentenza estinto il reato se ritiene che la prova abbia avuto esito positivo.

In caso di esito negativo della messa alla prova, il giudice dispone con ordinanza che il processo riprenda il suo corso.

Ma tale istituto si può applicare anche agli enti di cui al D. Lgs. n. 231/2001?

Le Sezioni Unite, con un’informazione provvisoria del 27 ottobre 2022, hanno affermato che: «Il procuratore generale è legittimato, ai sensi dell’art. 464-quater, comma 7, c.p.p., ad impugnare l’ordinanza di ammissione alla prova (art. 464-bis, c.p.p.) ritualmente comunicatagli ai sensi dell’art. 128 c.p.p. In conformità a quanto previsto dall’art. 586 c.p.p., in caso di omessa comunicazione dell’ordinanza è legittimato ad impugnare quest’ultima insieme con la sentenza al fine di dedurre anche motivi attinenti ai presupposti di ammissione alla prova. L’istituto dell’ammissione alla prova (art. 168-bis c.p.) non trova applicazione con riferimento agli enti di cui al d. lgs. n. 231 del 2001».